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giovedì 6 marzo 2014

Disabilità e Sessualità

E’ inimmaginabile negare alle persone con handicap il diritto di amare, non si può negare in toto la dimensione dell’affettività e della sessualità.

In Italia gli studi sulla sessualità del disabile sottolineano spesso in termini anche drammatici la pesantezza e le difficoltà di gestione di questa area, sia da parte dei genitori che di coloro che intervengono professionalmente. La sessualità spesso irrompe nello svolgimento delle attività quotidiane di una struttura o di una famiglia e si presenta come qualcosa di inatteso, che sorprende e scombina i piani, provocando nei familiari e negli operatori un forte senso di disagio e timore di essere inadeguati mandando all'aria il modo concreto e quotidiano del "prendersi cura".
Successivamente, dagli anni ’90, assistiamo ad un consistente aumento di contributi teorici, anche nel web attraverso forum, e di esperienze formative che vengono avviate nella rete dei servizi sociali.
Tra i lavori più importanti troviamo una sintesi dei lavori di riflessione sulla sessualità nelle persone diversamente abili scritta del professor Ennio Dall’Aglio (1994) nel volume “Handicap e Collasso familiare” che riporta e richiama alcune pubblicazioni sull’argomento almeno fino ai primi anni novanta. Il lavoro di Dall’Aglio studia la sessualità soprattutto in relazione ai minori disabili osservando un atteggiamento di profonda ambivalenza. Da una parte si tende a riconoscere ed accettare l’attività sessuale del disabile, dall’altra vi è il timore che la sessualità si accompagni a spinte “emancipatorie-conflittuali” e a disordini comportamentali, fino alla preoccupazione di procreazioni indesiderate. Tali dinamiche si fanno più intense in adolescenza e i genitori intensificano le loro posizioni ed opere di controllo sociale.
Un recente lavoro di ricerca è stato svolto da Stefano Federici e pubblicato nel libro “Sessualità alter-abili” (2002). In questo lavoro Federici cerca di descrivere lo stato reale di come viene pensato il tema della sessualità e come viene gestito nei centri che si occupano di persone disabili in Italia. Lo strumento utilizzato è l’intervista semi-strutturata somministrata a responsabili educativi, psicologi, operatori che si trovano a dover gestire il problema della sessualità. Utilizzando questo metodo Federici riesce ad avere una panoramica generale dei vissuti della sessualità all’interno dei centri per disabili.
Da queste interviste emerge nettamente una separazione tra quanto viene detto nelle ricerche, discussioni teoriche e interviste, e quanto poi viene agito sul piano delle decisioni con la presenza della repressione e del permesso rispetto alla sessualità vissuta dei soggetti diversamente abili.

Temi come l’omosessualità, il rapporto di coppia completo, una possibile vita coniugale di due soggetti disabili spesso sono ancora lontani dall’essere presi in dovuta considerazione anche perché molto difficili da trattare ma che andranno al più presto affrontati se si vuole dare una risposta valida e completa al bisogno e al diritto di  autonomia della persona disabile.
Molte sono le paure e le difficoltà nel parlare di questo argomento poiché l’handicap rimanda a condizioni di difficoltà, di malattia, di emarginazione, di diversità e di morte. Accanto a queste, però, ci sono anche bisogni, necessità, carezze, sentimenti che non si possono togliere ad un essere umano solo perché diverso in una sua parte fisica o mentale. Molte difficoltà vengono poste dalle situazioni oggettive problematiche, dalla cultura di riferimento, dall’incapacità di mettersi in discussione e di affrontare una sessualità diversa senza scontrarsi con la propria.
La sessualità è un’ espressione fondamentale dell'essere umano, è un fenomeno complesso che vede coinvolte influenze psicologiche, biologiche e culturali. Viene inserito alla base nella piramide dei bisogni di Maslow (1954) come bisogno fisiologico e dall’altra parte Malinowski afferma “il sesso, nel suo significato più ampio… è più una forza sociologica e culturale che una mera relazione fisica fra due individui” (1929, p.23).
La sessualità non può, quindi, essere ridotta alla dimensione genitale del sesso, ma comprende una vasta gamma di aspetti culturali e sociologici come pure di sensazioni ed emozioni. La sessualità è così anche relazione, comunicazione e scambio di piacere.
Non bisogna ritenere che sia impossibile per le persone con disabilità avere una vita sessuale soddisfacente o ritenerle come un eterno bambino, cosa che succede molto spesso con i disabili psichici (Valente Torre, 1987). Sarebbe utile insegnare alle persone che ruotano intorno al diversamente abile ad affrontare questi argomenti in maniera serena e a far acquisire una cosiddetta normalità attraverso l’accettazione della diversità del proprio corpo, riconoscerne i limiti, sia fisici, psichici o sensoriali, e stimolarne le potenzialità verso una condizione sociale che li renda più autonomi e che rafforzi la propria identità. In questa visione non può mancare un percorso di autonomia verso una sessualità possibile e autogestita fatta non solo da rapporti sessuali completi ma da gesti che possono essere carezze, baci, tenersi la mano o stare al telefono con il proprio partner.